1966 - L'insuperabile carica pittorica del panorama

 

        Il paesaggio del golfo, da qualsiasi settore lo si guardi, è sempre dominato dalle Apuane, che fanno da sfondo al suo magnifico scenario. Dal largo, la veduta di costa ha qualcosa di comune col litorale dell’Andalusia mediterranea, cui fa analogamente da sfondo la catena della Sierra Nevada, ricca di memorie moresche. Ma, avvicinandosi, altre quinte suggestive, Capo Corvo (il monte Caprione degli antichi Lunigianesi), le tre isole, le costiere anteposte, anche nella struttura, di Lerici e Porto Venere, la grande lunata del golfo, danno al quadro una carica di pittorico che può stare al pari - se proprio non le supera - con le più rinomate o famose vedute panoramiche della penisola. Tutto ciò è stato oggetto di ammirazione e di esaltazione da parte di scrittori dell’antichità e moderni, nonché di poeti, rimanendone memoria anche nelle radici toponimiche delle località. Ed è, ad esempio, sintomatico che Bonaparte, nel creare la nuova Repubblica Ligure (1797) costituisse il territorio della Spezia in « Distretto del Golfo di Venere ».
       Passando dalla vista d’insieme al dettaglio, il superbo paesaggio svela tutte le lacerazioni e le deturpazioni apportatevi dagli uomini, vuoi per esigenze militari, o per male indirizzata speculazione, o per innato cattivo gusto e spirito distruttivo di un po’ di tutti. Fa quindi bene « Italia Nostra » a battersi a fondo per salvare il salvabile delle bellezze del nostro golfo, oggi che l’attrazione esercitata dal paesaggio incide così fortemente sul turismo e questo soffre di ogni manomissione o sconvolgimento ad esso apportati (interramenti marini, distruzione di spiagge e scogliere, distruzione del verde, deviazioni di strade panoramiche e via dicendo). Ma anche, e specialmente, della cattiva manutenzione e dello stato di disordine e di abbandono in cui bellezze naturali ed attrattive storiche sono mantenute.
       Vorremmo, in primo luogo, accennare allo stato di pietosa inaccessibilità dell’isola Palmaria. Apparentemente essa è aperta alla libera circolazione dei gitanti (non tutti, purtroppo, riguardosi e prudenti); ma come circolare? La grande strada ex-militare che dal Terrizzo porta alla sommità è tutta una petraia e l’avventurarvisi è un anticipo di purgatorio; la strada detta « dei condannati » è stata sconvolta e resa impraticabile dagli incendi dei boschi attigui; sconvolti ed impraticabili i sentieri per il semaforo ed il Pozzallo! Eppure in quest’isola (di Robinson Crosue!) vive gente che paga le tasse, vi è qualche villa e vi sono resti di oliveti...
       Anche le falde del Muzzerone e della Castellana sembrano avviarsi allo stesso destino; ma ciò che più offende l’occhio è lo stato di deperimento delle pinete litoranee del Cavo, che la sovrintendenza alle belle arti considerava fino a qualche anno fa d’interesse panoramico, con i relativi obblighi per i proprietari. Questa Fiascherino di Porto Venere, a malgrado dell’insuperabile belvedere costituitovi dalla nuova litoranea a senso unico, va cadendo, ogni anno di più, nel banalismo dei panorami convenzionali.
       Della trascuratezza con cui sono tenute le antichità di Porto Venere « La Nazione » si è occupata ripetutamente. Ora la aspettativa dei portoveneresi è tutta concentrata sui promessi miglioramenti portuari; ma vorremmo domandare: esiste un piano tecnico ben ponderato e concordato su quanto si vuoi fare? Porto turistico o semplice miglioramento atto a dare maggior respiro alle normali esigenze dei paese? O porto misto che possa rispondere meglio ad ambedue le esigenze?
       Nel primo caso, è da tener conto che la baia di Porto Venere, con le sue profonde insenature, è già di per sé un porto naturale più che sicuro; che un porto turistico, inteso modernamente richiede attrezzature e mezzi di servizio e manutenzione assai costosi e, fra l’altro, l’accesso delle macchine alle calate, ciò che a Porto Venere — come a Lerici — è stato giustamente inibito. Mancano inoltre a Porto Venere le condizioni locali per spese vistose, che solo possono permettersi località residenziali di alta classe.
       Del resto, Porto Venere ha più bisogno di un razionale e comodo banchinamento che di un porticciuolo chiuso, ed il banchinamento dovrebbe essere esteso, a nostro parere, a tratti appropriati della riviera dell’Olivo. Il vecchio porticciuolo potrebbe esser reso più funzionale mediante l’adeguato allungamento dell’attuale molo Dondero e del pontile di sbarco centrale. Ciò basterebbe a tutti gli effetti.
       Non sono augurabili nuove discariche al mare per costituire posteggi automobilistici, potendosi all’uopo utilizzare l’ampio spazio nella cala dell’Olivo. Meglio sarebbe utilizzare i detriti nell’ampliamento razionale delle spiagge balneari, dando ad esse assetto definitivo e più decoroso, nella considerazione che nella stagione propizia il 40 per cento del movimento turistico (4000 macchine giornaliere in media nel mese d’agosto) è costituito dai bagnanti.
       Concludiamo con le parole del ministro Corona: « al vocabolo turismo dobbiamo sostituire la espressione industria turistica ». Ed industria significa tecnica. Anche i problemi del turismo vanno trattati su base tecnica e non più lasciati all’arbitrio dell’empirismo e della speculazione.

 
     
     

  

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